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ove si consumano anonime solitudini
E. Hopper, Nighthawks, 1942
Hopper rappresentò ripetutamente, nei suoi dipinti, le diverse ore del giorno, mettendo in evidenza gli effetti della luce in vari contesti umani. In questo utilizzo del tempo come espressione e riflesso di umori e stati d’animo, Hopper si ispirò probabilmente alla letteratura simbolista francese ( Baudelaire, Rimbaud, Verlaine). Il maggiore fascino appartiene, ovviamente, alla notte, che diviene simbolo della solitudine delle grandi città. I falchi notturni non sono altro che i frequentatori nottambuli dei bar o dei ristoranti metropolitani, come in un racconto di Hemingway o come quello che realmente si trovava a New York, a Greenwich Avenue, all’incrocio fra due strade. La coppia seduta al bancone è l’elemento principale della scena insieme al barman, cui fa da contraltare cromatico e luministico il cliente isolato, seduto di spalle. I colori sono netti e abbaglianti, senza ombreggiature o sfumature, le geometrie e i piani dell’ambiente lineari, dritti, quasi astratti. Inconsciamente, forse, ho dipinto la solitudine di una grande città, affermava, ma era sedotto, in realtà, da quel magico gioco di colori e di piani sotto la fredda luce artificiale che inonda il locale. Gli individui sono presenti nel dipinto in quanto semplice materia immersa nell’ombra e nella luce. Al suo apparire, il quadro ispirò diversi poeti americani, innamoratisi di quella poesia del silenzio.
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