La Camera Oscura

Shaza' e tutte le Cerimonie del Tè

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    Sinaida
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    00 23/01/2012 19:47

    Il Tè speziato Indiano


    Il Chay ( o Chai) è una bevanda molto comune in India e nel Nepal, costituito dai seguenti ingredienti:

    - Tè nero ( qualita' Assam o Nilgiri);
    - semi di cardamomo,
    - cannella in pezzi,
    - coriandolo, macis e zenzero,
    - pepe verde.

    La coltivazione del tè in India iniziò durante il periodo del colonialismo inglese.
    Le prime prove di coltivazione risalgono al 1780, quando il colonnello Kyd dell' esercito inglese trapiantò a Calcutta alcuni arbusti di tè provenienti da Canton.
    I risultati furono eccellenti tanto che Sir Joseph Banks, uno dei compagni di Cook nel viaggio intorno al mondo, raccomandò alla Compagnia delle Indie di condurre in proprio la coltivazione, consiglio che non fu accolto poichè la compagnia guadagnava già ingenti cifre con il tè cinese.
    Il tè prodotto in India deve essere distinto a seconda delle regioni di provenienza: nel 1823 furono trovate delle piante di tè allo stato selvatico sulle pendici del Manipur in Birmania e nella zona dell' Assam superiore. Gli arbusti furono identificati come Thea Assamica, ma in un primo momento non vennero presi in considerazione per la coltivazione perchè valutati come una varietà degenerata del Thea Sinensis.
    In un periodo seguente fu praticata la coltura dell' Assamica e vennero fatte ibridazioni con la Sinensis.
    Il tè Tchai, viene preparato con molta cura ed in grande quantità, pronto in grandi recipienti metallici.





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    00 23/01/2012 19:58

    Il Tè Arabo


    Il tè - detto in arabo “Shai” - è un altro rito importante e diffuso tra i paesi arabi e in tutta la cultura dell’estremo oriente, dalla quale esso deriva. Come in Inghilterra alle cinque, l’arabo comune non può non partecipare al rito indissolubile del tè, per il quale si riunisce con tutta la sua famiglia, intorno alla “mida” (il tipico tavolino basso) su bassi e comodi cuscini, posti sopra un grande e variopinto tappeto.
    Tutti gli arabi non sfuggono a questa tradizione e abitudine giornaliera, ripetuta più volte al giorno al caffè con gli amici, tra un “narghilè” e l’altro, a casa con la famiglia o intorno al corano con i compagni di preghiera.
    Ma da dove deriva l’uso del caldo tè alla menta?
    I nomadi del deserto che vivono sotto le tende, bruciate dal caldo sole africano, sono i primi consumatori di tè caldo e della qualità più forte ed eccitante, quella rossa.
    Questo perchè il tè alla menta è riscaldante e rinfrescane allo stesso tempo ed è la migliore bevanda che si possa bere sotto l’arsura del sole; ed è, nello stesso tempo, la migliore bevanda che si possa bere in un freddo pomeriggio e dopo un pasto abbondante e pesante, per i suoi effetti benefici sulla digestione.
    Insomma con i suoi ingredienti assolutamente naturali (tè, menta, zucchero e acqua), il tè è un vero e proprio toccasana per l’organismo.



    Ogni paese arabo inoltre prepara il tè in modo particolare. Tutto il nordafrica dal Marocco alla Libia si accomuna per la preparazione del tè alla menta, il quale viene ristretto abbondantemente e presentato in piccoli bicchierini decorati con motivi arabesci, su vassoi di metalli con particolari teiere arabe.
    In Tunisia la varietà di tè più usata è quella verde, aggiunta sempre ad un’abbondante quantità di menta che completa e rinfresca il gusto del tè in sè; avvolte vengono aggiunte alla menta anche alcune foglioline aromatiche di una pianta particolare profumata di crescita rigogliosa in Tunisia, per il clima caldo e benefico, chiamata “attarshìa” accomunata al geranio profumato.
    E’ un tocco in più che solo il raffinato gusto di Tunisi capitale poteva inventare. Per finire e poter servire un perfetto tè verde alla menta, sarà bene accompagnarlo con della frutta seccca come le nocciole alla libica o i pinoli alla tunisina e i classici dolcetti nordafricani.


    [SM=g2580839] FONTE [SM=g2580839]



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    00 23/01/2012 20:11

    Il Tè Thailandese


    Il Tè Thai (nota anche come Thai tè freddo) o "cha-yen" ( Thai : ชา เย็น) in ​​Thailandia , è una bevanda a base di fortemente preparato il tè nero . Altri ingredienti possono includere aggiunto acqua di fiori d'arancio, anice stellato , schiacciato tamarindo seme o rosso e giallo coloranti alimentari , spezie e talvolta anche altri. Questo tè è addolcito con lo zucchero e il latte condensato e servito freddo. Evaporato latte , latte di cocco o latte intero è generalmente versato sopra il tè e il ghiaccio prima di servire aggiungere il gusto e l'aspetto cremoso.

    Nei ristoranti thailandesi in tutto il mondo, è servita in un bicchiere alto, anche se in Thailandia è più tipicamente versato sopra la "schiacciata di ghiaccio".





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    00 28/01/2012 20:29

    La Cerimonia Giapponese


    Il Cha no yu (茶の湯, "acqua calda per il tè"), conosciuto in Occidente anche come Cerimonia del tè, è un rito sociale e spirituale praticato in Giappone, indicato anche come Chadō o Sadō, (茶道, "Via del tè").

    È una delle arti tradizionali zen più note. Codificata in maniera definitiva alla fine del XVI secolo dal monaco buddhista zen Sen no Rikyū (千利休, 1522-1591), maestro del tè di Oda Nobunaga (織田信長, 1534-1582) e successivamente di Toyotomi Hideyoshi (豊臣秀吉, 1536-1598). Il Cha no yu di Sen no Rikyū riprende la tradizione fondata dai monaci zen Murata Shukō (村田珠光, 1423-1502) e Takeno Jōō (武野紹鴎, 1502-1555). La Cerimonia si basa sulla concezione del wabi-cha (侘茶). Questa cerimonia e pratica spirituale può essere svolta secondo stili diversi ed in forme diverse. A seconda delle stagioni cambia la collocazione del bollitore ( kama): in autunno e inverno è posto in una buca di forma quadrata (, ro, fornace), ricavata in uno dei tatami () che formano il pavimento. In primavera ed estate in un braciere (furo, 風爐) appoggiato sul tatami. La forma più complessa e lunga (茶事, chaji) consiste in un pasto in stile kaiseki (懐石), nel servizio di tè denso (濃茶, koicha) e in quello di tè leggero (薄茶, usucha)[1]. In tutti i casi si usa, in varie quantità, il matcha (抹茶), tè verde polverizzato, che viene mescolato all'acqua calda con l'apposito frullino di bambù (茶筅, chasen). Quindi la bevanda che ne risulta non è un'infusione ma una sospensione: la polvere di tè viene cioè consumata insieme all'acqua. Per questo motivo e per il fatto che il matcha viene prodotto utilizzando germogli terminali della pianta, la bevanda ha un effetto notevolmente eccitante. Infatti veniva e viene ancora utilizzata dai monaci zen per rimanere svegli durante le pratiche meditative (zazen, 坐禅). Il tè leggero usucha, a seguito dello sbattimento dell'acqua col frullino durante la preparazione, si ricopre di una sottile schiuma di una tonalità particolarmente piacevole e che si intona con i colori della tazza.




    La cerimonia del tè è qualcosa che va molto al di là della semplice preparazione di una bevanda. È forse l'espressione più pura dell'estetica zen, tanto che un adagio giapponese dice: cha zen ichimi (茶禅一味 cioè "tè e zen un unico sapore [4][5])". Entrando nella stanza da una porticina bassa (nijiriguchi, 躙口) che costringe a piegarsi in segno di umiltà, l'ospite entra in uno spazio piccolo, a volte minimo, dove equilibrio e distacco dal mondo sono procurati da gesti che richiamano costantemente la presenza mentale in un ambito di naturalezza e spontaneità, in una sequenza di interazioni codificate e circondata da oggetti semplici ma di grande forza espressiva. La stanza, detta chashitsu (茶室), può essere anche di pochi tatami, le finestre sono schermate e la luce filtra sommessa conferendo un alone di particolare fascino ad ogni elemento. Da un lato c'è il tokonoma, una piccola nicchia in cui è appeso uno scritto eseguito da un calligrafo esperto di shodō, ed una piccola composizione simile all' ikebana (生花) particolarmente adattata alla circostanza e con grande coerenza con la stagione in corso, detta chabana (茶花) cioè fiori per il tè. Il Tokonoma ha da un lato un pilastro, detto toko-bashira (床柱)[6], formato da un palo di legno appena sgrossato [7] a cui di solito è appeso il chabana costituito da un piccolo vaso e spesso un unico fiore, in modo che tutta l'attenzione sia attratta dalla sua bellezza.

    Il particolare significato che viene attribuito al Cha no yu si percepisce anche dal fatto che per indicare l'atto del preparare il tè si usa il verbo tateru che solitamente ha il significato di "celebrare" e non il più normale suru (為る) cioè fare, eseguire. Dopo che gli invitati si sono accomodati, in ordine rigorosamente precostituito, con la persona più importante (shōkyaku, 正客)[8] o particolarmente prediletta posta al primo posto, si apre la porta scorrevole (shōji 障子) e appare il teishu (亭主, chi prepara il tè) inginocchiato in posizione seiza (正座) cioè con le punte dei piedi rivolte verso l'esterno.

    Nella forma più semplice della cerimonia (usucha), essa prosegue con il posizionamento dei vari utensili e con la preparazione del tè nella tazza (chawan, (茶碗). Ogni commensale (cominciando da quello principale) viene invitato a consumare il dolce con la formula rituale:«okashi o dōzo» (it. servitevi del dolce, prego).

    Successivamente gli viene posta dinanzi la chawan. Il primo invitato si scusa col vicino e gli chiede il permesso di servirsi per primo:

    «osakini»,

    prende la tazza la fa ruotare per esporre lo shōmen (正面, cioè la parte di finitura che fa da riferimento) in direzione del teishu dopodiché beve con brevi sorsi esprimendo il suo gradimento. Poi pulisce il bordo della tazza e la posa dinanzi a sé. La tazza viene ripresa dal teishu e lavata. La cerimonia procede con gli altri ospiti, finché al termine, quando tutti hanno bevuto il tè, il primo ospite (shōkyaku) pronuncia la frase di rito:

    «onatsume to ochashaku no haiken o»

    cioè chiede il permesso di esaminare gli utensili: il contenitore del tè (natsume) e il cucchiaino di bambù (chashaku). Il permesso viene accordato e a turno gli ospiti prendono gli utensili e li osservano attentamente. Per ultima viene osservata la tazza, rigirandola tra le mani e chiedendo informazioni sul maestro che l'ha creata, l'epoca e lo stile. All'ospite poi può venir richiesto se intenda dare un nome poetico (mei) al chashaku e lui a questo punto può citare una poesia o un verso o semplicemente fare un riferimento alla stagione in corso. Molto indicati sono i kigo (季語) cioè i riferimenti stagionali contenuti nell'ultimo verso di un haiku, quindi frasi come aki no kure (sera d'autunno) oppure momono hana (fiori di pesco) e così via. La cerimonia si conclude col teishu che ritorna alla posizione iniziale, si inchina profondamente all'unisono con gli ospiti e richiude la porta scorrevole. Quella descritta è la cerimonia più semplice cioè il servizio di usucha (tè leggero) ma ve ne sono di assai più lunghe e complesse come quella del servizio di koicha (tè denso) che richiede anche utensili diversi (chaire, kobukusa ecc. ). Le varie procedure di preparazione e svolgimento sono dette temae (手前 secondo la scuola Urasenke; 点前 secondo la scuola Omotesenke).



    FONTE: Wikipedia



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